IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza,  nel  procedimento  penale  a
 carico di Saponaro Teodoro + 12, imputati dei reati di cui agli artt.
 23  primo comma, 21 terzo comma, 21 primo comma, 21 secondo comma, in
 relazione all'art. 25 primo comma della legge 10 maggio 1976 n.  319,
 osserva che il p.m. d'udienza dott. Lorenzo De  Napoli  ha  richiesto
 pronuncia  di  questo  pretore in ordine all'ipotesi di non manifesta
 infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 3 primo comma, e dell'art. 6 secondo comma del d.-l. 16 novembre 1994
 n.  629  con  trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,
 argomentando  che i detti articoli prevedono un regime autorizzativo,
 tecnico e sanzionatorio differenziato tra  scarichi  da  insediamenti
 civili  e  scarichi  da insediamenti produttivi. A parere del p.m. le
 norme citate si pongono in contrasto con l'art. 3 della  Costituzione
 per   manifesta   disparita'  di  trattamento  sanzionatorio  che  il
 legislatore ha previsto per fattispecie analoghe ed anzi di  maggiore
 gravita'  sostanziale  per quanto in particolare concerne la modifica
 del comma 3 dell'art. 21  legge  319/1976  (c.d.  legge  Merli)  come
 novellato dal decreto-legge citato.
   Le norme in questione, inoltre, appaiono in contrasto con gli artt.
 10  e  11  della  Costituzione  che  impone  allo  Stato  italiano di
 conformarsi  alle  norme  di  diritto   internazionale   generalmente
 riconosciute  laddove omette la sostanziale applicazione e attuazione
 delle direttive CEE in materia di inquinamento ambientale; le  citate
 norme   appaiono,   altresi',   in  contrasto  con  l'art.  32  della
 Costituzione in quanto non viene adeguatamente  tutelato  il  diritto
 alla   salute;   infine   sono  in  contrasto  con  l'art.  77  della
 Costituzione in quanto contenute in un  decreto-legge  reiterato  per
 ben  6  volte  dal  15  novembre 1993 e, pertanto, adottate senza che
 ricorrano  "casi  straordinari  di  necessita'  e  di  urgenza";   la
 questione per il p.m. appare fondata e non manifestamente irrilevante
 a norma di legge.
   Premesso  brevemente  quanto innanzi, osserva questo pretore che la
 richiesta del p.m. e' fondata e, pertanto, deve dichiararsi rilevante
 e non manifestamente infondata, per violazione degli artt. 3, 32, 10,
 11  e  77  della   Costituzione,   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  3  primo comma e dell'art. 6 secondo comma
 del d.-l. 16 novembre 1994 n. 629:  il  primo,  nella  sua  integrale
 stesura,  prevede,  in  modifica globale del terzo comma dell'art. 21
 della legge n. 319/1976 e successive modificazioni che  "fatte  salve
 le   disposizioni  penali  di  cui  al  primo  e  al  secondo  comma,
 l'inosservanza dei limiti di accettabilita' stabiliti  dalle  regioni
 ai  sensi  dell'art.  14,  secondo comma, ove non costituisca reato o
 circostanza aggravante, e' punita con la sola sanzione amministrativa
 pecuniaria da lire tre milioni a lire trenta milioni,  salvo  diversa
 disposizione della legge regionale.  Per gli scarichi da insediamenti
 produttivi, in caso di superamento dei limiti di accettabilita' delle
 tabelle  allegate  alla  presente legge e, se recapitano in pubbliche
 fognature, di quelli fissati ai sensi  del  n.  2)  del  primo  comma
 dell'art.  12,  si  applica  la  pena  dell'ammenda  da lire quindici
 milioni a lire centocinquanta milioni o dell'arresto fino ad un anno.
 Si applica la pena dell'ammenda da lire venticinque  milioni  a  lire
 duecentocinquanta  milioni  o  la pena dell'arresto da due mesi a due
 anni qualora siano superati i limiti di  accettabilita'  inderogabili
 per  i  parametri di natura tossica persistente e bioaccumulabile, di
 cui al n. 4) del documento unito alla delibera 30 dicembre  1980  del
 Comitato interministeriale previsto dall'art. 3 della presente legge,
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale n. 9 del 10 gennaio 1981, e di
 cui all'elenco dell'allegato 1 alla delibera medesima. Ai fini  della
 quantificazione  della  pena e della ammissibilita' dell'oblazione ai
 sensi dell'articolo 162-bis del codice penale, il giudice tiene conto
 dell'entita' del superamento dei limiti di accettabilita'".  L'ultimo
 comma  dell'articolo  21  della  legge  10  maggio  1076  n.  319,  e
 successive modificazioni e' abrogato.   L'art. 6  secondo  comma  del
 d.-l.  n.  629/1994  aggiunge  all'art. 21 della legge n. 319/1976 il
 seguente comma in forza del quale "chiunque apre o comunque  effettua
 scarichi  civili  e  delle  pubbliche  fognature,  servite  o meno da
 impianti pubblici di depurazione nelle acque  indicate  nell'articolo
 1,  sul suolo o nel sottosuolo, senza aver richiesto l'autorizzazione
 di cui al tredicesimo comma  dell'articolo  15,  ovvero  continua  ad
 effettuare   o   mantenere   detti   scarichi   dopo  che  la  citata
 autorizzazione sia stata negata o revocata, e' punito con la sanzione
 amministrativa da lire dieci milioni a lire  cento  milioni".  Appare
 evidente  che  il  decreto-legge in esame e' in contrasto con diverse
 norme della Costituzione.
   A) In primo luogo, in violazione dell'art. 3 della Costituzione  vi
 e'  una  disparita'  ingiustificata  di trattamento   tra titolari di
 scarichi provenienti da insediamenti  produttivi  e  da  insediamenti
 civili.  L'art.  3  primo comma   d.-l. 16 novembre 1994 n. 629, come
 evidenziato dal p.m., prevede un  regime  autorizzatorio,  tecnico  e
 sanzionatorio  differenziato  da  scarichi  da  insediamenti civili e
 scarichi da insediamenti produttivi, e cosi' pure il successivo  art.
 6  secondo  comma  del  citato  decreto-legge.  In  particolare,  gli
 scarichi provenienti da insediamenti civili sono soggetti a limiti di
 accettabilita' fissati dalle  regioni  ed  il  superamento  di  detti
 limiti  e'  sanzionato  solo  in  via  amministrativa,  cosi' come la
 mancanza, di richiesta di  autorizzazione,  diniego  e  revoca  della
 stessa.  Al  contrario  gli  scarichi da insediamenti produttivi sono
 soggetti ai limiti di accettabilita' previsti dalla legge n. 319/1976
 ed in caso di superamento questa ipotesi e' sanzionata penalmente  al
 pari  della  mancata  richiesta  di  autorizzazione, diniego o revoca
 della stessa.
   Detto   trattamento   differenziato   si   appalesa    del    tutto
 ingiustificato  in quanto non si fonda (come sarebbe stato legittimo)
 sulle diverse caratteristiche quali - quantitative degli  scarichi  e
 conseguentemente   sulla   loro   maggiore   o  minore  potenzialita'
 "inquinatrice", bensi' solo nella diversa provenienza, che di per se'
 costituisce un dato del tutto irrilevante. Sarebbe come voler  punire
 un reato soltanto perche' commesso da una certa categoria di persone,
 depenalizzandolo  invece se commesso da un'altra categoria. Che senso
 ha  considerare  reato  uno  scarico   inquinante   da   insediamento
 produttivo,  e  mero illecito amministrativo uno scarico ugualmente o
 ancora piu'  inquinante,  sol  perche'  proveniente  da  insediamento
 civile?  Inoltre,  il  citato  decreto-legge  n. 629/1994 istituisce,
 anche  all'interno  della  categoria  dei  titolari  di  scarichi  da
 insediamenti   civili,   ulteriori   e,  se  possibile,  ancora  piu'
 ingiustificate discriminazioni. Ed  infatti,  mentre  depenalizza  le
 ipotesi di omessa richiesta, diniego o revoca di autorizzazione (art.
 21  comma  1  legge  319/76)  e  quella  di superamento dei limiti di
 accettabilita' (art. 21 comma 3 legge  319/76),  lascia  immutata  la
 sanzione  penale  prevista  dall'art.  21  comma  2  legge  citata in
 relazione    al    successivo    art.    25    (aumento    temporaneo
 dell'inquinamento)  che costituisce ipotesi certamente non piu' grave
 del superamento dei limiti di accettabilita'.
   E, cosa ancor piu' assurda, lascia  in  vigore  anche  la  sanzione
 penale  prevista  dall'art.  23  comma  1, legge   n. 319/176, per la
 condotta, sicuramente meno grave rispetto a quelle depenalizzate,  di
 chi   scarica   dopo   aver  richiesto  ma  prima  di  aver  ottenuto
 l'autorizzazione.  Inoltre,  la  nuova  formulazione  dell'art.   14,
 concedendo  ampia  discrezionalita' alle Regioni per la fissazione di
 limiti alle pubbliche fognature, comporta che  vi  siano  irrazionali
 disparita'  di  trattamento  da regione a regione per cui un medesimo
 fatto puo' essere considerato illecito penale in una regione e lecito
 in un'altra.
   E' di tutta evidenza come fatti gravi vengano illogicamente  puniti
 in  modo piu' benevolo di fatti certamente piu' lievi, ed in tal modo
 si introduce una disparita' di trattamento anche rispetto al  sistema
 complessivo della normativa di tutela ambientale (cfr., ad esempio il
 d.P.R.  24  maggio  1988  n.  203  sull'inquinamento  atmosferico  da
 industrie), ed in particolare con le altre  leggi  che  si  occupano,
 come  la legge n. 319/76, di inquinamento delle acque (quale la legge
 a difesa  del  mare  n.  979  del  31  dicembre  1981  e  il  decreto
 legislativo  27  gennaio  1992  n.  133  sugli  scarichi  di sostanze
 pericolose),  le  quali  prevedono  tutte  sanzioni  penali  (e   non
 amministrative)  per  fatti  di  inquinamento  o per violazione delle
 prescrizioni dell'autorizzazione.
   In piu', la disparita' di trattamento e'  particolarmente  evidente
 se  si  considera che, proprio con riferimento all'ipotesi piu' grave
 contemplata dal decreto-legge in esame,  lo  scarico  delle  sostanze
 pericolose  e'  punito con l'arresto ai sensi del decreto legislativo
 n.  133/1992,  e  con  la  pena  alternativa  ai  sensi  della  nuova
 formulazione   dell'art.  21  della  legge  n.  319/1976.  Stante  la
 suaccennata disparita' di trattamento appare opportuno rammentare che
 per giurisprudenza costante della Corte costituzionale  il  principio
 di eguaglianza consente al legislatore di emanare norme differenziate
 riguardo  a  situazioni  obiettivamente diverse solo a condizione che
 tali norme rispondano all'esigenza che la disparita'  di  trattamento
 sia fondata su presupposti logici obiettivi, i quali razionalmente ne
 giustifichino l'adozione (cfr. la sentenza n. 3 del 1963). Per cui la
 Corte  ha dichiarato illegittime norme che prevedevano un trattamento
 sanzionatorio  irrazionalmente  differenziato   rispetto   a   quello
 previsto  da  altre  fattispecie:  diminuendo,  ad  esempio,  la pena
 edittale minima per l'oltraggio (sentenza n.  341 del 1994);  ovvero,
 con  una  decisione  relativa  proprio  all'art.    21 della legge n.
 319/1976  eliminando  il  divieto   di   applicazione   di   sanzioni
 sostitutive (sentenza n. 254 del 20-23 giugno 1994).  In quest'ultima
 sentenza  la  Corte  ricorda che si viola il principio di eguaglianza
 qualora con leggi successive si dia vita  ad  un  "sistema  normativo
 assolutamente  squilibrato",  come  avviene,  ad  esempio  quando  si
 favorisce "chi ha posto in  essere,  fra  due  condotte  gradatamente
 lesive  dell'identico  bene,  quella  connotata da maggiore gravita',
 discriminando invece chi ha realizzato il fatto che meno  offende  lo
 stesso  valore  giuridico"  (sentenza  n.  249 del 1993). Esattamente
 quello che e' stato fatto con il decreto-legge n. 629/1994.
   B) Oltre che con l'art. 3, il decreto-legge n. 629 del 16  novembre
 1994  contenente  "Modifiche  alla  disciplina  degli  scarichi delle
 pubbliche fognature e degli insediamenti civili che non recapitano in
 pubbliche fognature", in base alle considerazioni gia' svolte, appare
 in contrasto anche con l'art. 32 della Costituzione che garantisce il
 diritto alla salute.
   Se si tiene presente  che  secondo  l'insegnamento  costante  della
 Corte  costituzionale della Corte di cassazione, l'art. 32 garantisce
 il diritto ad un ambiente salubre, per cui "l'amministrazione non  ha
 il  potere di rendere l'ambiente insalubre neppure in vista di motivi
 di interesse pubblico di  particolare  rilevanza"  (Cass.  6  ottobre
 1979,  n.  5172),  appare evidente il contrasto con questo diritto di
 una normativa  la  quale  da  un  lato  lascia  sanzioni  penali  per
 violazioni  burocratiche  e  le  elimina  per  quelle che danneggiano
 l'ambiente, e dall'altro rimette alla discrezionalita' delle  singole
 regioni   la   fissazione  dei  limiti  per  le  pubbliche  fognature
 prevedendo per il superamento dei parametri "inderogabili" di  natura
 tossica una sanzione penale (con pena alternativa) piu' favorevole di
 quella  fornita,  per lo stesso fatto, dal decreto legislativo n. 133
 del 1992.
   C)  Inoltre,  poiche'  una  legge  italiana  contrastante  con   la
 normativa   comunitaria  comportando  la  violazione  di  convenzioni
 internazionali ed  in  particolare  degli  impegni  limitativi  della
 sovranita'  nazionale  assunti  con  la  CEE, viola anche l'art. 10 e
 l'art. 11 della Costituzione,
  cosi' come piu' volte ribadito dalla Corte costituzionale  (sentenze
 nn.  183/73,  232/75,  205/76,  163/77),  non  vi  e'  dubbio  che il
 decreto-legge n.  629/1994  si  pone  in  totale  contrasto  con  gli
 obblighi  che  derivano al nostro Paese per l'appartenenza all'Unione
 europea. Gia' due volte la Corte europea  di giustizia ha  condannato
 il  nostro Paese per il contrasto tra la "legge Merli" e le direttive
 comunitarie,  tra  l'altro  anche  per  la  permissivita' del sistema
 autorizzatorio previsto  e  per  la  "insufficienza"  delle  sanzioni
 penali  previste  dall'art.    22 in relazione all'inosservanza delle
 prescrizioni dell'autorizzazione (Corte di giustizia 28 febbraio 1991
 e 13 dicembre 1990).
   La sopra esposta  generale  regressione  sanzionatoria  creata  dal
 decreto-legge  in  esame  concretizza  di  conseguenza  una ulteriore
 evoluzione del grado di inadempienza italiana verso le direttive  CEE
 e verso le sentenze della Corte europea.
   Peraltro  il  decreto  stesso,  eliminando  limiti  certi  per  gli
 scarichi da pubbliche fognature si pone in evidente contrasto con  la
 direttiva  CEE  n. 271 del 21 maggio 1991 sul trattamento delle acque
 reflue urbane, che lo Stato italiano  avrebbe  dovuto  gia'  recepire
 entro  lo  scorso  giugno  1993  e  che  fissa  obblighi e limiti ben
 precisi, con ben pochi margini  di  discrezionalita'  specie  per  le
 "aree sensibili".  Il contrasto e' apparso evidentemente gia' in sede
 di relazione del testo in esame se il decreto specifica espressamente
 all'art.  1  che si puo' derogare ai limiti di accettabilita' fissati
 dalle tabelle allegate alla legge n. 319/1976 "secondo i principi  ed
 i  criteri  della  direttiva  91/271/CEE del Consiglio, del 21 maggio
 1991, tenendo conto delle indicazioni  contenute  nella  delibera  30
 dicembre  1980  del  Comitato  interministeriale previsto dall'art. 3
 della presente legge pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 9 del  10
 gennaio  1981".   E' appena il caso di notare che il richiamo cogente
 alla delibera del 1980 elimina ogni sospetto  di  incostituzionalita'
 visto  che si tratta di una disciplina generale uniforme per tutto il
 territorio dello Stato che lascia ben pochi margini a regioni ed enti
 locali.
   D) Infine, il decreto-legge n.  629/1994  vi'ola  anche  l'art.  77
 della  Costituzione che consente al Governo di adottare, sotto la sua
 responsabilita' provvedimenti provvisori con forza di legge "in  casi
 straordinari   di   necessita'   e  d'urgenza",  condizioni  che  non
 ricorrerebbero  nella  fattispecie   trattandosi   di   decreto-legge
 reiterato 6 volte dal 15 novembre 1993.
   Considerato  che,  quindi,  le  predette  norme  potrebbero  essere
 dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale e che, in tal caso,
 si applicherebbe la disciplina originaria della legge n. 319/1976.
   Considerato che trattasi  di  questione  rilevante  ai  fini  della
 decisione  nel  caso  in  esame ove sono contestati reati di cui agli
 artt. 21, terzo comma, e 21, primo comma, della  legge  n.  319/1976,
 oggi  modificati  dagli  artt. 3, primo comma e 6, secondo comma, del
 decreto-legge 629/1994 e per  cui,  l'applicazione  della  vecchia  o
 della  nuova  disciplina  porta  a  conseguenze ed effetti totalmente
 diversi.
   Considerato altresi' che attualmente il decreto-legge non e'  stato
 ancora  convertito in legge e che, se cio' non avvenisse (o almeno se
 cio' non avvenisse integralmente per  le  norme  che  interessano  il
 presente  giudizio),  si  dovrebbe,  comunque, ritornare, per i fatti
 premessi come quelli in esame, alla disciplina originaria della legge
 n.  319/1976,  dovendosi  ritenere  che  "la  noma  contenuta  in  un
 decreto-legge non convertito non ha attitudine alla stregua del terzo
 e  ultimo  comma  dell'art. 77 della Costituzione, di inserirsi in un
 fenomeno successorio quale quello descritto e regolato dai commi 2  e
 3  dell'art.    2 c.p." (Corte cost. n. 51 del 19 febbraio 1985); per
 cui  potrebbe  arrivarsi  all'assurdo  di emettere sentenze del tutto
 diverse per fatti  identici,  a  seconda  del  momento  in  cui  sono
 trattati.  Assurdo  che  puo'  essere  evitato  solo  sospendendo  il
 presente procedimento  per  uno  dei  motivi  previsti  dalla  legge.
 Considerato,  in  ultima  analisi,  che il presente giudizio non puo'
 essere definito, allo stato e vigenti i principi   del  decreto-legge
 n.  629/1994  in  esame, in modo indipendente dalla risoluzione della
 questione di legittimita' costituzionale.